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Carissimi tutti, Come promesso vi trascrivo la visione del processo e della lapidazione di S. Stefano.
Stefano ed Erma erano due discepoli di Gamaliele, il più dotto Rabbi dell’epoca di Gesù. Lasceranno poi il loro maestro per mettersi alla sequela del Cristo. Con l’inizio delle persecuzione ai cristiani da parte del Sinedrio, si assisterà anche alla lapidazione di Stefano. Maria Valtorta, spettatrice di questo processo e lapidazione, come lo fu del Processo del Cristo e della Sua Morte, ci riporta come andarono veramente le cose anche in quell’occasione:
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7 agosto 1944.
(L’intera visione è possibile leggerla qui a fianco nel riquadro dei Santi)
[…]
Saulo, con un atto d’ira, va via sgarbatamente, tornando nel cortile prospiciente all’aula del Sinedrio, cortile nel quale dura il gridio della folla esasperata contro Stefano.
Saulo raggiunge gli aguzzini in questo cortile, si unisce a loro, che lo attendevano, ed esce insieme agli altri dal Tempio e poi dalle mura della città. Insulti, dileggi, percosse continuano ad esser lanciati contro il diacono, che procede già spossato, ferito, barcollante, verso il luogo del supplizio. Fuori delle mura vi è uno spazio incolto e sassoso, assolutamente deserto. Là giunti, i carnefici si allargano in cerchio, lasciando solo, al centro, il condannato, con le vesti lacere e sanguinante in molte parti del corpo per le ferite già ricevute. Gliele strappano prima di allontanarsi. Stefano resta con una tunichetta cortissima.
Tutti si levano le vesti lunghe, rimanendo con le sole tuniche, corte come quella di Saulo, al quale affidano le vesti, dato che egli non prende parte alla lapidazione, o perché scosso dalle parole di Gamaliele, o perché si sa incapace di colpire bene. I carnefici raccolgono i grossi ciottoli e le aguzze selci, che abbondano in quel luogo, e cominciano la lapidazione.
Stefano riceve i primi colpi rimanendo in piedi e con un sorriso di perdono sulla bocca ferita, che, un istante prima dell’inizio della lapidazione, ha gridato a Saulo, intento a raccogliere le vesti dei lapidatori: «Amico mio, ti attendo sulla via di Cristo».
Al che Saulo gli aveva risposto:
«Porco! Ossesso!», unendo alle ingiurie un calcio vigoroso sugli stinchi del diacono, che solo per poco non cade, e per l’urto e per il dolore. Dopo diversi colpi di pietra, che lo colpiscono da ogni parte, Stefano cade in ginocchio puntellandosi sulle mani ferite e, certo ricordando un episodio lontano, mormora, toccandosi le tempie e la fronte ferita:
«Come Egli m’aveva predetto! La corona… I rubini… O Signore mio, Maestro, Gesù, ricevi lo spirito mio!».
Un’altra grandine di colpi sul capo già ferito lo fanno stramazzare del tutto al suolo, che si impregna del suo sangue. Mentre si abbandona tra i sassi, sempre sotto una grandine di altre pietre, mormora spirando:
«Signore… Padre… perdonali… non tener loro rancore per questo loro peccato… Non sanno quello che…».
La morte gli spezza la frase tra le labbra, un estremo sussulto lo fa come raggomitolare su sé stesso, e così resta. Morto. I carnefici gli si avvicinano, gli lanciano addosso un’altra scarica di sassate, lo seppelliscono quasi sotto di esse. Poi si rivestono e se ne vanno, tornando al Tempio per riferire, ebbri di zelo satanico, ciò che hanno fatto. […]
(Fonte: Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, cap. 645, ed. CEV)
Da quanto sopra è facile capire perché S. Stefano sia diventato il primo martire cristiano. Il suo martirio gli era stato predetto dallo stesso Gesù ed infatti lui lo ricorda al momento opportuno, con le parole: «Come Egli m’aveva predetto! La corona… I rubini… O Signore mio, Maestro, Gesù, ricevi lo spirito mio!».
La pace sia con voi.
Giovanna