IL VENERDÌ SANTO

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 18,1-40.19,1-42. 
Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. 
Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli. 
Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. 
Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». 
Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. 
Appena disse «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. 
Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». 
Gesù replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». 
Perché s’adempisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». 
Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. 
Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?». 
Allora il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono 
e lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno. 
Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: «E’ meglio che un uomo solo muoia per il popolo». 
Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; 
Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare anche Pietro. 
E la giovane portinaia disse a Pietro: «Forse anche tu sei dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». 
Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. 
Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. 
Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. 
Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». 
Aveva appena detto questo, che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». 
Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». 
Allora Anna lo mandò legato a Caifa, sommo sacerdote. 
Intanto Simon Pietro stava là a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». 
Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». 
Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò. 
Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. 
Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». 
Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». 
Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». 
Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire. 
Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». 
Gesù rispose: «Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?». 
Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?». 
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 
Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa. 
Vi è tra voi l’usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». 
Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante. 
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. 
E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: 
«Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. 
Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa». 
Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». 
Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa». 
Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». 
All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura 
ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: «Di dove sei?». Ma Gesù non gli diede risposta. 
Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». 
Rispose Gesù: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande». 
Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare». 
Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. 
Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». 
Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare». 
Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. 
Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, 
dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo. 
Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». 
Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. 
I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». 
Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto». 
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. 
Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte. E i soldati fecero proprio così. 
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. 
Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». 
Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. 
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». 
Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 
E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò. 
Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. 
Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. 
Venuti però da Gesù e vedendo che era gia morto, non gli spezzarono le gambe, 
ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. 
Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. 
Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. 
E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. 
Dopo questi fatti, Giuseppe d’Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. 
Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. 
Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei. 
Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. 
Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino. 
 
 
 Carissimi,
il Vangelo di Giovanni del Venerdì Santo ci riporta la cattura di Gesù, i processi e la Crocifissione e morte e la sepoltura.
Nei testi valtortiani il tutto comprende più di 80 pagine e dunque riporto quest’oggi solo i processi, il rinnegamento di Pietro, la barbara flagellazione e coronazione di spine e la condanna a morte, che sono i più sconosciuti nella loro cronologia storica.
Per tutto il resto vi rimando al sito “Conoscere Maria Valtorta”: http://scrittivaltorta.altervista.org/
dove è possibile leggere tutto il Venerdì Santo e oltre.

Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, 604, ed. CEV.
 
Poema: IX, 22 
 

I processi e il rinnegamento di Pietro.

Considerazioni su Pilato.

 
22-25 marzo 1945.
 
1Incomincia il doloroso cammino per la stradetta sassosa che conduce dalla piazzetta dove Gesù fu catturato al Cedron e da questo, per altra stradetta, alla città. E subito incominciano i lazzi e le sevizie.
Gesù, legato come è ai polsi e persino alla cintura come fosse un pazzo pericoloso, con i capi delle funi affidati a degli energumeni briachi di odio, è stiracchiato qua e là come un cencio abbandonato all’ira di una torma di cuccioli. Ma, fossero cani coloro che così agiscono, sarebbero ancora scusabili. Invece hanno nome di uomini, sebbene dell’uomo non abbiano altro che l’aspetto. Ed è per dare maggior dolore che hanno pensato a quella legatura di due funi opposte, di cui una si occupa soltanto di imprigionare i polsi, e li sgraffia e sega col suo ruvido attrito, e l’altra, quella della cintura, comprime i gomiti contro il torace, e sega e opprime l’alto dell’addome, torturando il fegato e le reni, dove è fatto un enorme nodo e dove, ogni tanto, chi tiene i capi delle funi dà, con gli stessi, delle sferzate dicendo: «Arri! Via! Trotta, somaro!», e unisce anche dei calci, menati al dietro dei ginocchi del Torturato, che ne barcolla e non cade del tutto solo perché le funi lo tengono in piedi. Ma non evitano però che, stiracchiato verso destra da quello che si occupa delle mani e verso sinistra da quello che tiene la fune della cintura, Gesù vada ad urtare contro muretti e tronchi, e cada duramente contro la spalletta del ponticello per un più crudele strattone, ricevuto quando sta per valicare il ponticello sul Cedron. La bocca contusa sanguina. Gesù alza le mani legate per tergersi il sangue che brutta la barba, e non parla. È veramente l’agnello che non morde chi lo tortura.
Della gente è scesa intanto a prendere selci e ciottoli nel greto, e dal basso inizia una sassaiola sul facile bersaglio. Perché l’andare è stentato sul ponticello stretto e insicuro, su cui la gente si accalca facendo ostacolo a se stessa, e le pietre colpiscono Gesù sul capo, sulle spalle, e non Gesù solo. Ma anche i suoi aguzzini, che reagiscono lanciando bastoni e le stesse pietre. E tutto serve per colpire di nuovo Gesù sul capo e sul collo. Ma il ponte ha ben fine, ed ora la viuzza stretta getta ombre sulla mischia, perché la luna, che inizia il tramonto, non scende in quel vicolo contorto, e molte torce nel parapiglia si sono spente.
Ma l’odio fa da lume per vedere il povero Martire, al quale fa da torturatrice anche la sua alta statura. È il più alto di tutti. Facile quindi il percuoterlo, l’acciuffarlo per i capelli obbligandolo a rovesciare violentemente indietro il capo, sul quale viene lanciata una manata di immonda materia, che gli deve per forza andare in bocca e negli occhi dando nausea e dolore.
2Si inizia la traversata del sobborgo di Ofel, del sobborgo in cui tanto bene e tante carezze Egli ha sparso. La turba vociante richiama i dormenti sulle soglie, e se le donne hanno gridi di dolore e fuggono terrorizzate vedendo l’avvenuto, gli uomini, gli uomini che pure da Lui hanno avuto guarigioni, soccorsi, parole d’Amico, o chinano il capo rimanendo indifferenti, affettando noncuranza per lo meno, o passano dalla curiosità all’astio, al ghigno, all’atto di minaccia, e anche si accodano al corteo per seviziare. Satana è già all’opera…
Un uomo, un marito che vuole seguirlo per offenderlo, viene abbrancato dalla moglie urlante che gli grida: «Vigliacco! Se sei vivo è per Lui, lurido uomo pieno di marciume. Ricordalo!». Ma la donna viene sopraffatta dall’uomo, che la picchia bestialmente gettandola al suolo e che poi corre a raggiungere il Martire, sulla cui testa scaglia un sasso.
Un’altra donna, vecchia, cerca di sbarrare la strada al figlio, che accorre con un volto di iena e con un bastone per colpire lui pure, e gli grida: «Assassino del tuo Salvatore tu non sarai finché io vivo!». Ma la misera, colpita dal figlio con un calcio brutale all’inguine, stramazza gridando: «Deicida e matricida! Per il seno che squarci una seconda volta e per il Messia che ferisci, che tu sia maledetto!».
3La scena aumenta sempre più in violenza man mano che ci si avvicina alla città.
Prima di giungere alle mura -e già sono aperte le porte, ed i soldati romani con le armi al piede osservano dove e come si svolge il tumulto, pronti ad intervenire se il prestigio di Roma ne fosse leso- vi è Giovanni con Pietro. Io credo che siano giunti lì da una scorciatoia presa valicando il Cedron più su del ponte e precedendo velocemente la turba, che va lenta, tanto da sé si ostacola. Stanno nella penombra di un androne, presso una piazzetta che precede le mura. E hanno sul capo i mantelli a far velo al volto. Ma, quando Gesù giunge, Giovanni lascia cadere il suo mantello e mostra la sua faccia pallida e sconvolta al libero chiarore della luna, che lì ancora fa lume prima di scomparire dietro il colle, che è oltre le mura e che sento designare come Tofet dagli sgherri catturatori. Pietro non osa scoprirsi. Ma però viene avanti per essere visto…
Gesù li guarda… ed ha un sorriso di una bontà infinita. Pietro gira su se stesso e torna nel suo angolo buio, con le mani sugli occhi, curvo, invecchiato, già un cencio d’uomo. Giovanni resta coraggiosamente dove è, e solo quando la turba vociante è passata raggiunge Pietro, lo prende per un gomito, lo guida come fosse un ragazzo che guida il padre cieco, ed entrano ambedue in città dietro alla folla schiamazzante.
Sento le esclamazioni stupite, derisorie, addolorate dei soldati romani. Chi fra essi maledice per essere stato levato dal letto per quel «pecorone stolto»; chi deride i giudei capaci di «prendere una mezza femmina»; chi compassiona la Vittima che «ha sempre visto buona»; e chi dice: «Preferirei mi avessero ucciso che vedere Lui in quelle mani. È un grande. La mia devozione è per due nel mondo: Egli e Roma».
«Per Giove!», esclama il più alto in grado. «Io non voglio noie. Ora vado dall’alfiere. Pensi lui a dirlo a chi deve. Non voglio essere mandato a combattere i Germani. Questi ebrei puzzano e sono serpi e rogne. Ma qui è sicura la vita. Ed io sto per finire il tempo, e presso Pompei ho una fanciulla!…».
4Perdo il resto per seguire Gesù, che procede per la via che fa un arco in salita per andare al Tempio. Ma vedo e comprendo che la casa di Anna, dove lo vogliono portare, è e non è in quel labirintico agglomerato che è il Tempio e che occupa tutto il colle di Sion. Essa ne è agli estremi, presso una serie di muraglioni, che paiono delimitare qui la città e da questo luogo si estendono con portici e cortili per il fianco del monte sino a giungere nel recinto del Tempio vero e proprio, ossia di quello in cui vanno gli israeliti per le loro diverse manifestazioni di culto.
Un alto portone ferrato si apre nella muraglia. A questo accorrono delle iene volonterose e bussano forte. E non appena si apre uno spiraglio irrompono dentro, quasi atterrando e calpestando la serva venuta ad aprire, e lo spalancano tutto perché la turba vociante, con il Catturato al centro, possa entrare. Ed entrata che è, ecco che chiudono e sprangano, paurosi forse di Roma o dei partigiani del Nazareno.
I suoi partigiani! Dove sono?…
Percorrono l’atrio di ingresso e poi traversano un ampio cortile, un corridoio, e un altro portico e un nuovo cortile, e trascinano Gesù su per tre scalini, facendogli percorrere quasi di corsa un porticato sopraelevato sul cortile per giungere più presto ad una ricca sala, dove è un uomo anziano vestito da sacerdote.
«Dio ti consoli, Anna», dice colui che pare l’ufficiale, se ufficiale può chiamarsi il manigoldo che ha comandato quei briganti. «Eccoti il colpevole. Alla tua santità l’affido perché Israele sia mondato dalla colpa».
«Dio ti benedica per la tua sagacia e la tua fede».
Bella sagacia! Era bastata la voce di Gesù a farli cadere per terra al Getsemani.
5«Chi sei Tu?».
«Gesù di Nazaret, il Rabbi, il Cristo. E tu mi conosci. Non ho agito nelle tenebre».
«Nelle tenebre, no. Ma hai traviato le folle con dottrine tenebrose. E il Tempio ha il diritto e il dovere di tutelare l’anima dei figli di Abramo».
«L’anima! Sacerdote di Israele, puoi dire che per l’anima del più piccolo o del più grande di questo popolo tu hai sofferto?».
«E Tu allora? Che hai fatto che possa chiamarsi sofferenza?».
«Che ho fatto? Perché me lo chiedi? Tutto Israele parla. Dalla città santa al più misero borgo anche le pietre parlano per dire quanto ho fatto. Ho dato la vista ai ciechi: la vista degli occhi e del cuore. Ho aperto l’udito ai sordi: alle voci della Terra e alle voci del Cielo. Ho fatto camminare gli storpi e i paralitici, perché iniziassero la marcia verso Dio dalla carne e poi procedessero con lo spirito. Ho mondato i lebbrosi, dalle lebbre che la Legge mosaica segnala e da quelle che rendono infetti presso Dio: i peccati. Ho risuscitato i morti, né dico che grande è il richiamare alla vita una carne, ma grande è redimere un peccatore, e l’ho fatto. Ho soccorso i poveri insegnando agli avidi e ricchi ebrei il precetto santo dell’amore del prossimo e, rimanendo povero nonostante il rio d’oro che mi passò fra le mani, ho asciugato più lacrime Io solo che non tutti voi, possessori di ricchezze. Ho dato infine una ricchezza che non ha nome: la conoscenza della Legge, la conoscenza di Dio, la certezza che siamo tutti uguali e che agli occhi santi del Padre uguale è il pianto o il delitto, sia che siano fatti o versati dal Tetrarca e dal Pontefice, o dal mendicante e dal lebbroso che muore sulla carraia. Questo ho fatto. Nulla più».
6«Sai che da Te stesso ti accusi? Tu dici: le lebbre che rendono infetti a Dio e non sono segnalate da Mosè. Tu insulti Mosè e insinui che vi sono lacune nella sua Legge…».
«Non sua: di Dio. Così è. Più della lebbra, sventura della carne e che ha un termine, Io dico grave, e tale è, la colpa che è sventura ed eterna dello spirito».
«Tu osi dire che puoi rimettere i peccati. Come lo fai?».
«Se con un poco di acqua lustrale e il sacrificio di un ariete è lecito e credibile annullare una colpa, espiarla ed esserne mondati, come non lo potrà il mio pianto, il mio Sangue e il mio volere?».
«Ma Tu non sei morto. Dove è allora il Sangue?».
«Non sono ancora morto. Ma lo sarò perché è scritto. In Cielo da quando Sionne non era, da quando non era Mosè, da quando non era Giacobbe, da quando non era Abramo, da quando il re del Male morse al cuore l’uomo e lo avvelenò in lui e nei suoi figli. È scritto in Terra nel Libro in cui sono le voci dei profeti. È scritto nei cuori. Nel tuo, in quello di Caifa e dei sinedristi che non mi perdonano, no, questi cuori non mi perdonano di essere buono. Io ho assolto, anticipando sul Sangue. Ora compio l’assoluzione col lavacro in esso».
«Tu ci dici avidi e ignoranti del precetto d’amore…».
«E non è forse vero? Perché mi uccidete? Perché avete paura che Io vi detronizzi. Oh! non temete. Il mio Regno non è di questo mondo. Vi lascio padroni di ogni potere. L’Eterno sa quando dire il “Basta” che vi farà cadere fulminati…».
«Come Doras, eh?».
«Egli morì d’ira. Non per fulmine celeste. Dio lo attendeva dall’altra parte per fulminarlo».
«E lo ripeti a me? Suo parente? Osi?».
«Io sono la Verità. E la Verità non è mai vile».
«Superbo e folle!».
«No: sincero. Mi accusi di farvi offesa. Ma non odiate forse voi tutti? L’un coll’altro vi odiate. Ora l’odio per Me vi unisce. Ma domani, quando mi avrete ucciso, tornerà l’odio fra voi, e più fiero, e vivrete con questa iena alle spalle e questo serpente nel cuore. Io ho insegnato l’amore. Per pietà del mondo. Ho insegnato ad essere non avidi, ad avere misericordia. 7Di che mi accusi?».
«Di avere messo una dottrina nuova».
«O sacerdote! Israele pullula di nuove dottrine: gli esseni hanno la loro, i sadochiti la loro, i farisei la loro; ognuno ha la sua segreta, che per uno ha nome piacere, per l’altro oro, per l’altro potere; e ognuno ha il suo idolo. Non Io. Io ho ripreso la calpestata Legge del Padre mio, del Dio eterno, e sono tornato a dire semplicemente le dieci proposizioni del Decalogo, asciugandomi i polmoni per farle entrare nei cuori che non le conoscevano più».
«Orrore! Bestemmia! A me, sacerdote, dire questo? Non ha un Tempio, Israele? Siamo come i percossi di Babilonia? Rispondi».
«Questo siete. E più ancora. Vi è un Tempio. Sì. Un edificio. Dio non c’è. È fuggito davanti all’abominio che è nella sua casa. Ma a che mi interroghi tanto, se tanto è decisa la mia morte?».
«Non siamo assassini. Uccidiamo se ne abbiamo il diritto per colpa provata. 8Ma io ti voglio salvare. Dimmi, e ti salverò. Dove sono i tuoi discepoli? Se Tu me li consegni, io ti lascio libero. Il nome di tutti, e più gli occulti che i palesi. Di’: Nicodemo è tuo? E’ tuo Giuseppe? E Gamaliele? E Eleazaro? E… Ma di questo lo so… Non occorre. Parla. Parla. Lo sai: ti posso uccidere e salvare. Sono potente».
«Sei fango. Lascio al fango il mestiere della spia. Io sono Luce».
Uno sgherro gli sferra un pugno.
«Io sono Luce. Luce e Verità. Ho parlato apertamente al mondo, ho insegnato nelle sinagoghe e nel Tempio, dove si radunano i giudei, e nulla ho detto in segreto. Lo ripeto. Perché interroghi Me? Interroga quelli che hanno sentito ciò che Io ho detto. Essi lo sanno».
Un altro sgherro gli lascia andare un ceffone urlando: «Così rispondi al Sommo Sacerdote?».
«Ad Anna Io parlo. Il Pontefice è Caifa. E parlo col rispetto dovuto per il vecchio. Ma se ti pare che abbia parlato male, dimostramelo. Se no, perché mi percuoti?».
«Lascialo fare. 9Io vado da Caifa. Voi tenetelo qui fino a mio comando. E fate che non parli con nessuno». Anna esce.
Non parla, no, Gesù. Neppure con Giovanni, che osa stare sulla porta sfidando tutta la plebe sgherrana. Ma Gesù, senza parole, gli deve dare un comando, perché Giovanni, dopo uno sguardo accorato, esce di lì e lo perdo di vista.
Gesù resta fra gli aguzzini. Colpi di corda, sputi, lazzi, calci, stiracchiate ai capelli, sono quanto gli resta. Finché un servo viene a dire di portare il Prigioniero in casa di Caifa.
E Gesù, sempre legato e malmenato, esce di nuovo sotto il portico, lo percorre fino ad un androne e poi traversa un cortile in cui molta folla si scalda ad un fuoco, perché la notte si è fatta rigida e ventosa in queste prime ore del venerdì. Vi è anche Pietro con Giovanni, mescolati fra la folla ostile. E devono avere un bel coraggio a stare lì… Gesù li guarda e ha un’ombra di sorriso sulla bocca già enfiata dai colpi ricevuti.
Un lungo cammino fra portici e atri e cortili e corridoi. Ma che case avevano questa gente del Tempio?
Ma nel recinto pontificale la folla non entra. Viene respinta nell’atrio di Anna. Gesù va solo, fra sgherri e sacerdoti. 10Entra in una vasta sala, che pare perdere la sua forma rettangolare per i molti scanni messi a ferro di cavallo su tre pareti, lasciando al centro uno spazio vuoto oltre il quale sono due o tre seggi alzati su predelle.
Mentre Gesù sta per entrare, rabbi Gamaliele lo raggiunge e le guardie danno uno strattone al Prigioniero perché ceda l’entrata al rabbi di Israele. Ma questo, rigido come una statua, ieratico, rallenta e, muovendo appena le labbra senza guardare nessuno, chiede: «Chi sei? Dimmelo». E Gesù dolcemente: «Leggi i profeti e ne avrai risposta. Il segno primo è in essi. L’altro verrà».
Gamaliele raccoglie il suo manto ed entra. E dietro a lui entra Gesù. Mentre Gamaliele va su uno scanno, Gesù viene trascinato al centro dell’aula, di fronte al Pontefice: una faccia da delinquente vera e propria. E si attende finché entrano tutti i membri del Sinedrio.
Poi ha inizio la seduta. Ma Caifa vede due o tre seggi vuoti e chiede: «Dove è Eleazaro? E dove Giovanni?».
Si alza un giovane scriba, credo, si inchina e dice: «Hanno ricusato di venire. Qui è lo scritto».
«Si conservi e si scriva. Ne risponderanno. 11Che hanno i santi membri di questo Consiglio da dire sopra costui?».
«Io parlo. Nella mia casa Egli violò il sabato. Me ne è testimonio Dio se io mento. Ismael ben Fabi non mente mai».
«È vero, accusato?».
Gesù tace.
«Io lo vidi convivere con meretrici note. Fingendosi profeta, aveva fatto del suo covo un lupanare e con donne pagane per colmo. Con me erano Sadoc, Callascebona e Nahum fiduciario di Anna. Dico il vero, Sadoc e Callascebona? Smentitemi, se lo merito».
«Vero è. Vero è».
«Che dici?».
Gesù tace.
«Non mancava occasione per deriderci e farci deridere. La plebe più non ci ama per Lui».
«Li odi? Hai profanato i membri santi».
Gesù tace.
«Quest’uomo è indemoniato. Reduce dall’Egitto, esercita la magia nera».
«Come lo provi?».
«Sulla mia fede e sulle tavole della Legge!».
«Grave accusa. Discolpati».
Gesù tace.
«Illegale è il tuo ministero, lo sai. E passibile di morte. Parla».
«Illegale è questa nostra seduta. Alzati, Simeone, e andiamo», dice Gamaliele.
«Ma rabbi, ammattisci?».
«Rispetto le formule. Lecito non è procedere come procediamo. E ne farò pubblica accusa». E rabbi Gamaliele esce, rigido come una statua, seguito da un uomo sui trentacinque anni che gli somiglia.
12Vi è un poco di tumulto, di cui approfittano Nicodemo e Giuseppe per parlare in favore del Martire.
«Gamaliele ha ragione. Illecita è l’ora e il luogo, e non consistenti le accuse. Può uno accusarlo di noto vilipendio alla Legge? Io gli sono amico e giuro che sempre lo trovai rispettoso alla Legge», dice Nicodemo.
«Ed io pure. E per non sottoscrivere ad un delitto mi copro il capo, non per Lui, ma per noi, ed esco». E Giuseppe fa per scendere dal suo posto e uscire.
Ma Caifa sbraita: «Ah! così dite? Vengano i testimoni giurati, allora. E udite. Poi ve ne andrete».
Entrano due tipi da galera. Sguardi sfuggenti, ghigni crudeli, subdole mosse.
«Parlate».
«Non è lecito udirli insieme», urla Giuseppe.
«Io sono il Sommo Sacerdote. Io ordino. E silenzio!».
Giuseppe dà un pugno su un tavolo e dice: «Si aprano su te le fiamme del Cielo! Da questo momento sappi che l’Anziano Giuseppe è nemico del Sinedrio e amico del Cristo. E con questo passo vado a dire al Pretore che qui si uccide senza ossequio a Roma», ed esce violentemente dando uno spintone ad un magro e giovane scriba che lo vorrebbe trattenere.
Nicodemo, più pacato, esce senza dire parola. E nell’uscire passa davanti a Gesù e lo guarda…
13Nuovo tumulto. Si teme Roma. E la vittima espiatoria è sempre e ancora Gesù.
«Per Te, vedi, tutto questo! Tu corruttore dei migliori giudei. Prostituiti li hai».
Gesù tace.
«Parlino i testimoni», urla Caifa.
«Sì, costui usava il… il… Lo sapevamo… Come si chiama quella cosa?».
«Il tetragramma forse?».
«Ecco! L’hai detto! Evocava i morti. Insegnava ribellione al sabato e profanazione all’altare. Lo giuriamo. Diceva che Egli voleva distruggere il Tempio per riedificarlo in tre giorni con l’aiuto dei demoni».
«No. Diceva: non sarà fabbricato dall’uomo».
Caifa scende dal suo seggio e viene presso Gesù. Piccolo, obeso, brutto, pare un enorme rospo vicino ad un fiore. Perché Gesù, nonostante sia ferito, contuso, sporco e spettinato, è ancora tanto bello e maestoso.
«Non rispondi? Che accuse ti fanno! Orrende! Parla, per levare da Te la loro onta».
Ma Gesù tace. Lo guarda e tace.
14«Rispondi a me, allora. Sono il tuo Pontefice. In nome del Dio vivo io ti scongiuro. Dimmi: sei Tu il Cristo, il Figlio di Dio?».
«Tu lo hai detto. Io lo sono. E vedrete il Figliuolo dell’uomo, seduto alla destra della Potenza del Padre, venire sulle nubi del cielo. Del resto, a che mi interroghi? Ho parlato in pubblico per tre anni. Nulla ho detto di occulto. Interroga quelli che mi hanno udito. Essi ti diranno ciò che ho detto e ciò che ho fatto».
Uno dei soldati che lo tengono lo colpisce sulla bocca, facendola sanguinare di nuovo, e urla: «Così rispondi, o satana, al Sommo Pontefice?».
E Gesù, mite, risponde a questo come a quello di prima: «Se ho parlato bene, perché mi percuoti? Se male, perché non mi dici dove erro? Ripeto: Io sono il Cristo, Figlio di Dio. Non posso mentire. Il sommo Sacerdote, l’eterno Sacerdote Io sono. E Io solo porto il vero Razionale su cui è scritto: Dottrina e Verità. E a queste Io sono fedele. Sino alla morte, ignominiosa agli occhi del mondo, santa agli occhi di Dio, e sino alla beata Risurrezione. Io sono l’Unto. Pontefice e Re Io sono. E sto per prendere il mio scettro e con esso, come con ventilabro, mondare l’aia. Questo Tempio sarà distrutto e risorgerà, nuovo, santo. Perché questo è corrotto e Dio lo ha lasciato al suo destino».
«Bestemmiatore!», urlano tutti in coro. «In tre giorni lo farai, folle e posseduto?».
«Non questo. Ma il mio risorgerà, il Tempio del Dio vero, vivo, santo, tre volte santo».
«Anatema!», urlano di nuovo in coro.
Caifa alza la sua voce chioccia, e si strappa le vesti di lino con atti di studiato orrore, e dice: «Che altro abbiamo da udire dai testimoni? La bestemmia è detta. Che dunque facciamo?».
E tutti in coro: «Sia reo di morte».
E con atti di sdegno e di scandalo escono dalla sala, lasciando Gesù alla mercede degli sgherri e della plebaglia dei falsi testimoni, che con schiaffi, con pugni, con sputi, legandogli gli occhi con uno straccio e poi tirandogli violentemente i capelli, lo sbalestrano qua e là a mani legate, di modo che urta contro tavoli, scranni e muri, e intanto gli chiedono: «Chi ti ha percosso? Indovina». E più volte, facendogli sgambetto fra le gambe, lo fanno stramazzare bocconi, e ridono sgangheratamente vedendo come, a mani legate, Egli stenti a rialzarsi.
15Passano così le ore, e i carnefici, stanchi, pensano di prendere un poco di riposo. Portano Gesù in uno sgabuzzino, facendogli attraversare molte corti fra i lazzi della plebe, già folta nel recinto delle case ponteficali.

(segue in allegato)

Buona meditazione!
La pace sia con voi.
Giovanna

IL VENERDÌ SANTOultima modifica: 2013-03-29T12:21:11+01:00da dio_amore
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