XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

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Libro di Isaia 53,10-11. 
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. 
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. 
 
Lettera agli Ebrei 4,14-16. 
Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. 
Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. 
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno. 

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 10,35-45. 
E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». 
Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: 
«Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 
Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». 
E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. 
Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». 
All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. 
Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. 
Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, 
e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. 
Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». 

 
Carissimi tutti,
in questo Vangelo di Marco della prossima domenica (( XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)) si parla della famosa richiesta fatta dai due figli di Zebedeo a Gesù e cioè quella di poter sedere uno alla sua destra ed uno alla sua sinistra nel Suo Regno. Richiesta ben strana soprattutto da parte di Giovanni, che conosciamo tutti per essere stato sempre molto umile e amoroso, pur nella sua naturale irruenza di giovinetto pescatore. 
I testi valtortiani riportati più sotto ci saranno come sempre d’aiuto a comprendere come mai questa richiesta e prima ancora tutto il preambolo fatto da Gesù a proposito della Sua Passione, Morte e Risurrezione.
Certo che ci resta poi sempre più difficile comprendere come mai gli Apostoli non avessero capito e creduto nelle Sue profezie riguardo alla sua Missione, o meglio, lo possiamo comprendere proprio per il fatto che i loro spiriti erano ancora privi della Grazia santificante, perduta da Adamo ed Eva col Peccato Originale e perché la Redenzione non era ancora venuta a ridonar questa Grazia e soprattutto perché  lo Spirito Santo non era ancora sceso su di loro per illuminare le loro menti e i loro cuori col dono dell’Intelletto e tutti gli altri doni!
 
C’è poi anche da notare un importante commento che fa Gesù riguardo a quella che sembrerebbe un’errata traduzione del testo originale o un’errata trascrizione delle Sue Parole, laddove si dice:
 
«Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?».
 «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

 

11Mi dice Gesù:

«Segna molto il punto: «”… voi certo berrete al mio calice”. Nelle traduzioni si legge: “il mio calice”. Ho detto “al mio”, non “il mio”. Nessun uomo avrebbe potuto bere il mio calice. Io solo, Redentore, l’ho dovuto bere tutto il mio calice. Ai miei discepoli, ai miei imitatori e amanti, certo è concesso bere a quel calice dove Io bevvi, per quella stilla, quel sorso, o quei sorsi, che la predilezione di Dio concede loro di bere. Ma mai nessuno lo berrà tutto il calice come Io lo bevvi. Dunque è giusto dire “al mio calice” e non “il mio calice”».

 

 
Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato. [577.1-11] – ed. CEV 
 
1L’alba appena schiarisce il cielo e rende ancora difficile il cammino quando Gesù lascia Doco ancora dormente. Lo scal­piccio dei passi non è certo udito da alcuno, perché è cauto e perché la gente dorme ancora nelle case chiuse. Nessuno parla sinché sono fuori della città, nella campagna che si ridesta len­tamente nella parca luce tutta fresca dopo il lavacro delle ru­giade.
Allora l’Iscariota dice: «Strada inutile, riposo negato. Era meglio non venire sin qui».
«Non ci hanno trattato male quei pochi che abbiamo trova­to! Hanno perso la notte per ascoltarci e per andare a prendere i malati delle campagne. È stato proprio bene, anzi, di essere venuti. Perché coloro che, per malattia o altra causa, non pote­vano sperare di vedere il Signore a Gerusalemme, lo hanno vi­sto qui e sono stati consolati con la salute o con altre grazie. Gli altri, si sa, sono andati già alla città… È uso di noi tutti andarvi, sol che si possa, qualche giorno prima della festa», dice Giacomo di Alfeo dolcemente, perché egli è sempre mite, tutto all’opposto di Giuda di Keriot, che anche nelle ore buone è sempre violento e imperioso.
«Appunto perché si va anche noi a Gerusalemme, era inuti­le venire qui. Ci avrebbero sentiti e visti là…».
«Ma non le donne e i malati», ribatte interrompendolo Bar­tolomeo, in aiuto di Giacomo d’Alfeo.
Giuda finge di non sentire e dice, come continuando il di­scorso: «Almeno credo che noi si vada a Gerusalemme, benché ora non ne sono più sicuro dopo il discorso fatto a quel pasto­re…».
«E dove vuoi che si vada se non là?», chiede Pietro.
«Mah! Non so. È tutto così irreale ciò che facciamo da qualche mese, tutto così contrario al prevedibile, al buon sen­so, alla giustizia anche, che…».
«Ohe! Ma io ti ho visto bere del latte a Doco, eppure tu par­li da ebbro! Dove le vedi le cose contrarie alla giustizia?», chiede Giacomo di Zebedeo con occhi che promettono poco be­ne. E rincara: «Basta di rimproveri al Giusto! Hai capito che basta? Non hai il diritto, tu, di rimproverarlo. Nessuno ha que­sto diritto, perché Egli è perfetto, e noi… Nessuno di noi lo è, e tu meno di tutti».
«Ma sì! Se sei malato curati, ma non affliggerci con le tue querele. Se sei lunatico, là è il Maestro. Fatti guarire e smetti­la!», dice Tommaso che perde la pazienza.
2Infatti Gesù è dietro, insieme a Giuda d’Alfeo e Giovanni, e aiutano le donne che, meno use al camminare in penombra, fanno fatica a procedere per il sentiero non buono e anche più oscuro dei campi, perché tagliato in un folto uliveto. E Gesù parla fitto con le donne, estraniandosi da ciò che succede più avanti e che pure è sentito da chi è con Lui, perché, se le parole giungono male, il tono di esse denota che non sono parole pia­ne, ma che già hanno sapore di disputa.
I due apostoli, il Taddeo e Giovanni, si guardano… ma non parlano. Guardano Gesù e Maria. Ma Maria è tanto velata dal suo manto che quasi non se ne vede il volto, e Gesù sembra non aver sentito. Però, finito il suo discorso – parlavano di Benia­mino e del suo futuro, e parlano della vedova Sara di Afec, che si è stabilita a Cafarnao ed è madre amorosa non soltanto dell’infante di Giscala ma anche dei piccoli figli della donna di Cafarnao che, passata a seconde nozze, non amava più i figli del primo letto e che è morta poi «così male che veramente si è vista la mano di Dio nella sua morte», dice Salome – Gesù va avanti insieme con Giuda Taddeo e si unisce agli apostoli di­cendo nell’andarsene: «Resta pure, Giovanni, se vuoi farlo. Io vado a rispondere all’inquieto e a metter pace».
Ma Giovanni, fatti ancor pochi passi con le donne, visto che ormai il sentiero si fa più aperto e luminoso, raggiunge di corsa Gesù proprio mentre dice: «Rassicurati, dunque, Giuda. Nulla faremo, come nulla abbiamo mai fatto, di irreale. Anche ora non facciamo cosa contro il prevedibile. Questo è il tempo in cui è prevedibile che ogni vero israelita, non impedito da malattie o cause gravissime, salga al Tempio. E noi al Tempio saliamo».
«Non tutti però. Marziam ho sentito che non ci sarà. È forse malato? Per qual motivo non viene? Ti pare di poterlo sostitui­re col samaritano?». Il tono di Giuda è insopportabile…
Pietro mormora: «O prudenza, incatena la lingua a me che sono uomo!», e stringe fortemente le labbra per non dire di più. I suoi occhi, un poco bovini, hanno uno sguardo che com­muove, tanto sono visibili in essi lo sforzo che fa l’uomo per frenare il suo sdegno e l’afflizione di sentire Giuda parlare a quel modo.
3La presenza di Gesù tiene ferma ogni lingua. È solo Lui che parla, dicendo con una calma veramente divina:
«Venite avanti un poco. Che le donne non sentano. Ho da dirvi una cosa da qualche giorno. Ve l’ho promessa nelle cam­pagne di Tersa. Ma volevo ci foste tutti a sentirla. Tutti voi. Non le donne. Lasciamole nella loro umile pace… In quello che vi dirò sarà anche la ragione per la quale Marziam non sarà con noi, e non tua madre, Giuda di Keriot, e non le tue figlie, Filippo, e non le discepole di Betlemme di Galilea con la fan­ciulla. Vi sono cose che non tutti possono sopportare. Io, Mae­stro, so cosa è bene per i miei discepoli e quanto essi possono o non possono sopportare. Neppur voi siete forti per sopportare la prova. E grazia sarebbe per voi esserne esclusi. Ma voi do­vrete continuarmi e dovete sapere quanto siete deboli per esse­re in seguito misericordiosi con i deboli. Perciò voi non potete essere esclusi da questa tremenda prova, che vi darà la misura di ciò che siete, di ciò che siete restati dopo tre anni che siete con Me e di ciò che siete divenuti dopo tre anni che siete con Me. Siete dodici. Siete venuti a Me quasi contemporaneamen­te. Non sono i pochi giorni che vanno dal mio incontro con Giacomo, Giovanni e Andrea, al giorno nel quale anche tu sei stato accolto fra noi, Giuda di Keriot, né a quello che tu, Gia­como fratello mio, e tu, Matteo, siete venuti con Me, quelli che possano giustificare tanta differenza di formazione fra voi. Eravate tutti, anche tu, dotto Bartolmai, anche voi, fratelli miei, molto informi, assolutamente informi rispetto a quanto è formazione nella mia dottrina. Anzi, la vostra formazione, mi­gliore a quella di altri fra voi nella dottrina del vecchio Israele, vi era di ostacolo al formarvi in Me. Eppure, nessuno di voi ha percorso tanta strada quale sarebbe stata sufficiente a portarvi tutti ad un unico punto. Uno lo ha raggiunto, altri vi sono vici­ni, altri più lontani, altri molto indietro, altri… sì, devo dire anche questo, in luogo di venire avanti sono arretrati. Non vi guardate! Non cercate fra voi chi è il primo e chi è l’ultimo. Colui che, forse, si crede il primo ed è creduto primo, ha anco­ra da saggiare se stesso. Colui che si crede ultimo sta per ri­splendere nella sua formazione come una stella del cielo. Perciò, una volta di più, vi dico: non giudicate. I fatti giudiche­ranno con la loro evidenza. Per ora non potete capire. Ma pre­sto, molto presto ricorderete queste mie parole e le capirete».
«Quando? Ci hai promesso di dirci, di spiegarci anche per­ché la purificazione pasquale sarà diversa quest’anno, e non ce lo dici mai», si lamenta Andrea.
«È di questo che vi ho voluto parlare. Perché tanto quelle parole che questa sono un’unica cosa, avendo radice in un’unica cosa. 4Noi, ecco, stiamo ascendendo a Gerusalemme per la Pasqua. E là si compiranno tutte le cose dette dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo. In verità, così come videro i profe­ti, come già è detto nell’ordine dato agli ebrei di Egitto, come fu ordinato a Mosè nel deserto, l’Agnello di Dio sta per essere immolato e il suo Sangue sta per bagnare gli stipiti dei cuori, e l’angelo di Dio passerà senza percuotere coloro che avranno su di loro, e con amore, il Sangue dell’Agnello immolato, che sta per essere innalzato come il serpente di prezioso metallo sulla barra trasversa, ad essere segno ai feriti dal serpente infernale, per essere salute a coloro che lo guarderanno con amore. Il Fi­glio dell’uomo, il vostro Maestro Gesù, sta per essere dato nelle mani dei principi dei sacerdoti, degli scribi e degli anziani, che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai gentili perché venga schernito. E sarà schiaffeggiato, percosso, sputacchiato, trascinato per le vie come un cencio immondo, e poi i gentili, dopo averlo flagellato e coronato di spine, lo condanneranno alla morte di croce propria dei malfattori, volendo il popolo ebreo, radunato in Gerusalemme, la sua morte al posto di quella di un ladrone, ed Egli sarà così ucciso. Ma, così come è detto nei segni delle profezie, dopo tre giorni risorgerà. Questa la prova che vi attende. Quella che mostrerà la vostra formazione. In verità vi dico, a voi tutti che vi credete tanto perfetti da sprezzare quelli che non sono d’Israele, e anche da sprezza­re molti dello stesso popolo nostro, in verità vi dico che voi, mia parte eletta del gregge, preso il Pastore, sarete percossi da paura e vi sbanderete fuggendo, quasi che i lupi, che mi azzan­neranno da ogni parte, fossero contro di voi rivolti. Ma, ve lo dico: non temete. Non vi sarà torto un capello. Basterò Io a sa­ziare i lupi feroci…».
5Gli apostoli, man mano che Gesù parla, sembrano creature sotto un grandinare di pietre. Si curvano persino, sempre più mano a mano che Gesù parla. E quando Egli termina: «E quanto vi dico è ormai imminente. Non è come le altre volte, che del tempo era davanti all’ora. Adesso l’ora è venuta. Io va­do per essere dato ai miei nemici e immolato per la salute di tutti. E questo bocciolo di fiore non avrà ancora perduto i suoi petali, dopo esser fiorito, che Io sarò già morto», chi si ripara il volto con le mani e chi geme come se venisse ferito. L’Iscariota è livido, letteralmente livido…
Il primo a riprendersi è Tommaso, che proclama: «Questo non ti accadrà, perché noi ti difenderemo o moriremo insieme a Te, e così dimostreremo che ti avevamo raggiunto nella tua perfezione e che eravamo perfetti nell’amore di Te».
Gesù lo guarda senza parlare.
Bartolomeo, dopo un lungo silenzio meditabondo, dice: «Hai detto che sarai dato… Ma chi, chi può darti in mano ai tuoi nemici? Ciò non è detto nelle profezie. No. Non è detto. Sarebbe troppo orribile se un tuo amico, un tuo discepolo, un tuo seguace, anche l’ultimo di tutti, ti desse a quelli che ti odiano. No! Chi ti ha udito con amore, anche una volta sola, non può commettere questo delitto. Sono uomini, non belve, non satana… No, mio Signore. E neppure quelli che ti odiano potranno… Hanno paura del popolo, e il popolo sarà tutto in­torno a Te!».
Gesù guarda anche Natanaele e non parla.
Pietro e lo Zelote parlano fitto fitto fra loro. Giacomo di Zebedeo malmena, a parole, il fratello perché lo vede calmo, e Giovanni risponde: «È perché da tre mesi io so questo», e due lacrime gli scendono sul volto. I figli di Alfeo parlano con Matteo, che scrolla il capo sconfortato.
Andrea si volge all’Iscariota: «Tu che hai tanti amici nel Tempio…».
«Giovanni conosce lo stesso Anna», ribatte Giuda e termi­na: «Ma che ci vuoi fare? Che vuoi che possa parola d’uomo se così è segnato?».
«Tu credi proprio?», domandano insieme Tommaso e An­drea.
«No. Io non credo niente. Sono allarmi inutili. Dice bene Bartolomeo. Tutto il popolo sarà intorno a Gesù. Già lo si vede da questi che si incontrano. E sarà un trionfo. Vedrete che sarà così», dice Giuda di Keriot.
«Ma allora perché Egli…», dice Andrea accennando a Gesù che si è fermato per attendere le donne.
«Perché lo dice? Perché è impressionato… e perché ci vuole provare. Ma non accadrà nulla. Del resto io andrò…».
«Oh! sì. Va’ a sentire!», supplica Andrea.
6Tacciono perché Gesù li segue di nuovo, stando fra la Madre e Maria d’Alfeo.
Maria ha un pallido sorriso perché la cognata le mostra dei semi, presi non so dove, e le dice che vuol seminarli a Nazaret dopo la Pasqua, proprio presso la grotticella a Maria tanto ca­ra: «Quando eri bambina io ti ricordo sempre con questi fiori nelle manine. Li chiamavi i fiori della tua venuta. Infatti, quando nascesti, il tuo orto ne era pieno, e quella sera, quando tutta Nazaret corse a vedere la figlia di Gioacchino, i ciuffi di queste stelline erano tutti un diamante per l’acqua che era sce­sa dal cielo e per l’ultimo raggio di sole che da ponente li colpi­va, e posto che ti chiamavi “Stella”, tutti dicevano, guardando quelle tante piccole stelle brillanti: “I fiori si sono ornati a far festa al fior di Gioacchino e le stelle hanno lasciato il cielo per venir dalla Stella”, e sorridevano tutti, felici del presagio e della gioia di padre. 7E Giuseppe, il fratello del mio sposo, disse: “Stelle e stille. È veramente Maria!”. Chi glielo avrebbe detto allora che la sua stella avresti dovuto divenire? Quando tornò da Gerusalemme eletto a tuo sposo! Tutta Nazaret gli voleva far festa, perché era grande il suo onore venuto dal Cielo e ve­nuto dagli sponsali con te, figlia di Gioacchino e Anna, e tutti lo volevano a festino. Ma egli con il suo dolce ma fermo volere respinse ogni festa, stupendo tutti, perché quale è quell’uomo, destinato a onorevoli nozze e con tal decreto dell’Altissimo, che non festeggi la sua felicità d’anima e di carne e sangue? Ma egli diceva: “A grande elezione grande preparazione”. E con continenza anche di parole e di cibo, ché ogni altra continenza era sempre stata in lui, passò quel tempo lavorando e pregan­do, perché credo che ogni colpo di martello, ogni segno di scal­pello divenisse orazione, se orare si può col lavoro. Il suo viso era come estatico. Io andavo a riordinare la casa, imbiancare lenzuoli e ogni altro lasciati da tua madre e divenuti gialli nel tempo, e lo guardavo mentre lavorava nell’orto e nella casa a rifarli belli come mai fossero rimasti in abbandono, e gli parla­vo anche… ma era come assorto. Sorrideva. Ma non a me o ad altri, ad un suo pensiero che non era, no, il pensiero di ogni uo­mo prossimo a nozze. Quello è sorriso di letizia maliziosa e carnale… Lui… pareva sorridesse agli invisibili angeli di Dio, e con essi parlasse e si consigliasse… Oh! che io ne sono certa che essi lo istruissero sul come trattare te! Perché dopo, altro stupore di tutta Nazaret, e quasi sdegno del mio Alfeo, procra­stinò le nozze a quanto più potè, e non si capì mai come d’im­provviso si decidesse prima del tempo fissato. E anche quando ti si seppe madre, come stupì Nazaret della sua gioia assor­ta!… Ma anche il mio Giacomo è un poco così. E sempre più lo diventa. Ora che lo osservo bene – non so perché, ma da quan­do venimmo ad Efraim mi pare tutto nuovo – lo vedo così… proprio come Giuseppe. Guardalo anche ora, Maria, or che si volge di nuovo a guardarci. Non ha l’aspetto assorto, tanto abituale in Giuseppe, tuo sposo? Sorride di quel sorriso che non so dire se mesto o lontano. Guarda e ha lo sguardo lungo, oltre noi, che aveva Giuseppe tante volte. Ti ricordi come lo stuzzicava Alfeo? Diceva: “Fratello, vedi ancor le piramidi?”. Ed egli scoteva il capo senza parlare, paziente e segreto sui suoi pensieri. Poco ciarliere sempre. Ma da quando tornasti da Ebron! Neppur più veniva solo alla fontana, come prima face­va e come tutti fanno. O con te o al suo lavoro. E men che il sa­bato alla sinagoga o quando si recava per affari altrove, nessu­no può dire di aver visto Giuseppe a zonzo in quei mesi. Poi partiste… Che affanno non saper più nulla di voi dopo la stra­ge! Alfeo si spinse sino a Betlemme… “Partiti”, dissero. Ma co­me credere se vi odiavano a morte nella città dove ancora ros­seggiava il sangue innocente e fumavano le rovine e vi si face­va accusa che per voi quel sangue era scorso? Andò a Ebron e poi al Tempio, perché Zaccaria aveva il suo turno. Elisabetta non gli dette che lacrime, Zaccaria parole di conforto. L’una e l’altro, in affanno per Giovanni, temendo nuove ferocie, l’ave­vano nascosto e trepidavano per lui. Di voi nulla sapevano, e Zaccaria disse ad Alfeo: “Se sono morti, il loro sangue è su me, perché io li persuasi a rimanere a Betlemme”. 8La mia Maria! Il mio Gesù visto così bello alla Pasqua che seguì la sua nascita! E non saperne nulla. Per tanto! Ma perché mai una notizia?…».
«Perché bene era tacere. Là dove eravamo, molte erano le Marie e i Giuseppe, e bene era passar per una coppia qualun­que di sposi», risponde quieta Maria e sospira: «Ed erano, nel­la loro tristezza, giorni ancor felici. Il male era così lontano ancora! Se tanto mancava alle nostre persone umane, lo spirito si saziava della gioia di averti, Figlio mio!».
«Anche ora ce l’hai, Maria, il Figlio tuo. Manca Giuseppe, è vero! Ma Gesù è qui e col suo completo amore di adulto», os­serva Maria d’Alfeo.
Maria alza il capo a guardare il suo Gesù. E lo strazio è nel suo sguardo anche se la bocca sorride lievemente. Ma non ag­giunge parola.
9Gli apostoli si sono fermati ad attenderli e si riuniscono tutti, anche Giacomo e Giovanni che erano indietro a tutti con la madre loro. E mentre riposano dal cammino fatto e alcuni mangiano un poco di pane, la Madre di Giacomo e Giovanni si avvicina a Gesù e si prostra davanti a Lui che non si è neppur seduto, frettoloso di riprendere il cammino.
Gesù la interroga, perché è palese in lei il desiderio di chiedere qualcosa: «Che vuoi, donna? Parla».
«Concedimi una grazia, prima che Tu te ne vada così come dici».
«E quale?».
«Quella di ordinare che questi miei due figlioli, che per Te tutto hanno lasciato, seggano uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra quando Tu sarai seduto, nella tua gloria, nel tuo Regno».
Gesù guarda la donna e poi guarda i due apostoli, e dice: «Voi avete suggerito questo pensiero a vostra madre, interpretando molto male le mie promesse di ieri. Il centuplo per ciò che avete lasciato non lo avrete in un regno della Terra. Anche voi dunque divenite avidi e stolti? Ma non voi. È già il crepuscolo mefitico delle tenebre che avanza, e l’aria inquinata di Gerusalemme che si avvicina e vi corrompe e acceca… Io vi dico che voi non sapete ciò che chiedete! Potete voi forse bere il calice che berrò Io?».
«Noi lo possiamo, Signore».
«Come potete dirlo se ancor non avete compreso di quale amaritudine sarà il mio calice? Non sarà solamente l’amarezza che vi descrissi ieri, la mia di Uomo di tutti i dolori. Vi saranno torture che, anche se Io ve le descrivessi, voi non sareste in condizioni di capire… Eppure, sì, poiché – per quanto ancor come due bambini che non conoscono il valore di ciò che chiedono – poiché voi siete due spiriti giusti e amanti di Me,voi certo berrete al mio calice. Però sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a Me di concedervelo. Essa è cosa concessa a quelli ai quali è stato preparato dal Padre mio».
10Gli altri apostoli, mentre ancora Gesù parla, sono acerbi nel criticare la richiesta dei figli di Zebedeo e della loro madre.
Pietro dice a Giovanni: «Tu poi! Non ti riconosco più per quel che eri!».
E l’Iscariota, con il suo sorriso da demonio: «Veramente i primi sono gli ultimi! Tempo di sorprese e di cognizioni…», e ride verde.
«Abbiamo forse seguito per gli onori il Maestro nostro?» rimprovera Filippo.
Tommaso, invece che ai due, si volge a Salome dicendo: «Perché far mortificare i tuoi figli? Se non loro, tu dovevi riflettere e impedire questo».
«È vero. Nostra madre non lo avrebbe fatto» dice il Taddeo.
Bartolomeo non parla, ma il suo volto è tutto una disapprovazione.
Simone Zelote dice, a calmare lo sdegno: «Tutti possiamo errare…».
Matteo, Andrea e Giacomo di Alfeo non parlano, anzi visibilmente soffrono dell’incidente che incrina la bella perfezione di Giovanni.
Gesù fa un gesto per imporre silenzio e dice: «E che? Da un errore ne verranno molti? Voi, che rimproverate indignati, non vi accorgete di peccare voi pure? Lasciate stare questi vostri fratelli. Il mio rimprovero è sufficiente. Il loro avvilimento è palese, il loro pentimento umile e sincero. Dovete amarvi fra voi, sorreggervi a vicenda. Perché, in verità, nessuno di voi è perfetto ancora. Voi non dovete imitare il mondo e gli uomini di esso. Nel mondo, voi lo sapete, i principi delle nazioni le signoreggiano e i loro grandi esercitano su di esse il potere in nome dei principi. Ma tra voi così non deve essere. Non deve essere in voi smania di signoreggiare sugli uomini, né sui compagni. Anzi, chi tra voi vorrà diventare maggiore si faccia vostro ministro e chi vuol essere primo si faccia servo di tutti. Così come ha fatto il Maestro vostro. Son forse venuto per opprimere e signoreggiare? Per essere servito? No, in verità, no. Io sono venuto per servire. E così, come il Figlio dell’uomo non è venuto ad essere servito, ma per servire e per dare la vita sua in redenzione di molti, così voi dovrete saper fare,se vorrete essere come Io sono e dove Io sono. Ora andate. E siate in pace fra voi come Io lo sono con voi».
 
La pace sia con voi.
Giovanna
XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno Bultima modifica: 2012-10-20T05:51:28+02:00da dio_amore
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